La strada era sconnessa e molto ripida e il mio cinquantino stava arrancando un po'. Alla fine dell'ardua salita, a destra della strada, si poteva vedere dall'alto il piccolo paese. Il grande orologio del campanile si alzava austero sui giardini, il punto d'incontro dei ragazzi del posto e che noantri avevamo teneramente ribattezzato "l'ora d'aria". Le case ingrigite dal tempo erano disposte alla rinfusa intorno alla chiesa ma ben compatte. Le loro mura antiche davano l'idea di catapecchie abbandonate se non fosse stato per i panni appesi alle finestre e per la chitarra di Plettro. Plettro era ragazzo di qualche anno più grande di noi. Non si concedeva quasi mai l'ora d'aria e in pochi avevano scambiato con lui qualche parola. Era un tipo riservato ma la sua chitarra la conoscevano tutti. A tutti era capitato di ascoltar uscire dal suo amplificatore le note del quinto capriccio in La minore di Paganini, sentirlo passare attraverso le imposte del suo balconcino sgombro come se quel suono fosse opera di un'intera orchestra. Chi aveva preso in mano una chitarra almeno un paio di volte sapeva che quella musica non poteva essere opera di un ragazzo normale. Era diffusa l'idea infatti che Plettro avesse barattato l'anima col diavolo per le mani di Hendrix, o peggio ancora c'era chi ipotizzava che l'avesse promessa per un paio di mani in più. Io intanto m'ero fermato sulla strada incantato da dall'assolo eccezionale di "Far beyond the sun" di Malmsteen, eseguito da Plettro con una precisione incredibile. In quel momento Ansa mi battè sulla spalla. "Schizzo! Andiamo dai! Io alle sette devo essere a casa". Col dito disegnai un "OK" sul parabrezza sporco e ripartii. Guidavo verso la zona nuova del paese, dove si trovavano le case di recente costruzione. "Da quanto tempo è qui?" chiesi. Ben salda al sellino per paura di cadere Ansa mi rispose, "Neanche un anno credo". Le mie domande sul perchè non l'avessi mai vista ebbero una secca risposta. Prima che potessi dire altro Ansa m'indicò un piccolo edificio rosso che si erigeva dietro i pini di un giardino pubblico. Parcheggiai accanto al portone di ferro battuto con addosso poco entusiasmo e tanta voglia di tornare a casa e finire questa pagliacciata. Ansa scese e con un sorriso complice (a me pareva più un rigurgito ma non glielo feci notare) s'avvicino al citofono. Il momento in cui suonò quel campanello non lo dimenticherò più. Dal secondo piano del palazzo s'aprì lenta una finestra e in quel preciso istante alzai gli occhi e la vidi. Una gigantesca ondata di acqua saponata mi colpiva in pieno, me e cinquantino, cancellando dal parabrezza i miei disegni, mentre l'anziana signora rientrava con il suo secchio ignara di quel che fosse accaduto. Ansa cominciò a ridere ma prima che potessi mettergli le mani adosso scappò verso i giardini e si sedette su un'altalena, in preda a una crisi di scompisciamento isterico. "Maledetta tu e le tue idee del cazzo" gli gridai dietro. Ero tanto zuppo quanto nero, un po' per l'incazzatura un po' per l'acqua sporca. "Credo tu abbia conosciuto mia nonna" disse una voce dietro di me. Mi girai e la vidi. Stavolta la sorpresa fu ancora più grande. La stupida fotocamera VGA del cellulare di Ansa non rendeva giustizia a quell'angelo. Era a pochi metri da me sulla sua bici. Aveva capelli ricci che le scendevano fin sopra le spalle, un corpo mozzafiato messo in risalto dal completo sportivo che le stava a pelle e un viso che mi lasciò credere per un attimo di essere in un sogno. Ma più di ogni altra cosa erano i suoi occhi. Non riuscivo a distinguerne il colore da dov'ero, ma di qualunque tonalità fossero erano gli occhi più belli che avessi mai visto. Non credevo ai colpi di fulmine, mai creduto all'amore a prima vista, ma devo ammettere che in quel momento anche se non ero innamorato di lei potevo dire di essere già un bel pezzo avanti. "Allora?" disse lei. Non seppi aprire bocca se non per bisbigliare, "Io... sono... bagnato". Lei rise di gusto. Mi sentii una merda ma il mio sguardo s'illumino quando compresi che non c'era nessuno scherno in quel momento d'ilarità, soltanto il principio di una tenera e dolce complicità...
9.10.07
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